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venerdì 29 luglio 2011

George Steiner: «La cultura occidentale è come il Castello di Barbablù»


Il Castello di Barbablù è una drammatica favola del diciassettesimo secolo, nata dalla penna di Charles Perrault, che Bartòk agli inizi del 900, ispirandosi al testo reinterpretato dal poeta ungherese Bèla Balàzs, trasformò in un’opera lirica. Divenne nel tempo, lo schema e la metafora, dell’intera cultura di un secolo, che il critico letterario, filosofo e comparatista George Steiner, ha preso ad emblema di un suo libro, dal titolo appunto Nel Castello di Barbablù, riedito in Italia da Garzanti.
La favola racconta la storia dell’ultima moglie di Barbablù, che riceve dallo stesso le chiavi della sua casa, con il permesso di aprire tutte le porte tranne una. Quell’ultima porta segreta, che la principessa andrà ad aprire lo stesso, le svelerà l’orrore che vi era nascosto. Ovvero le teste mozzate di tutte le precedenti mogli di Barbablù. Questa drammatica scoperta si trasformerà, attraverso le penne dei poeti che la reinterpretarono, a emblema della cultura occidentale: una infinta galleria di porte aperte, che ove l’oscurantismo insito nelle culture etnocentriche e xenofobe, come è accaduto nel corso del ventesimo secolo, ne chiudesse una, potrebbe determinare la decadenza di un intero sistema culturale. George Steiner è stato critico del New Yorker per quasi un trentennio, fino a quando, l’istinto a dire sempre ciò che pensa non gli causò la rottura con il direttore Tina Brown che lo liquidò in “45 secondi” a suo dire. Nel suo Castello di Barbablù, George Steiner, parigino di origini ebraiche, illustra quella che egli stesso definisce, nel corso di un’intervista rilasciata al quotidiano Repubblica, una «civiltà intrappolata in una serie ininterrotta e violenta di crisi, passando da quella che era l'identità di una cultura dominante alla post o sub-cultura odierna».

Un’analisi approfondita del sistema culturale occidentale, che parte da lontano, ma nella quale, una delle cause di questa decadenza è da ravvisarsi secondo Steiner, anche e soprattutto nella frantumazione dell’apparato istituzionale scolastico, la sede di quell’istruzione primaria, che per lungo tempo ha mantenuto alti i livelli di competitività di alcuni paesi europei. La crisi gravissima che sta attraversando il sistema d’istruzione in Italia, Francia e Inghilterra, mette in seria discussione la formazione sociale e politica delle nuove generazioni, che finiscono a riempire in qualità di funzionari, gli apparati amministrativi e burocratici delle istituzioni, senza nutrire il minimo interesse verso la politica e dunque la partecipazione sociale. «Una demolizione progressiva del linguaggio travolto dall'immagine, soprattutto da quella telematica» la definisce Steiner, dovuta anche alla delegittimazione sociale ed economica di mestieri come quello d’ insegnante.

Un libro che parte dai secoli passati, analizzando i vuoti storici, e i “danni” se così si può dire, provocati dell’ottimismo illuministico. Per giungere fino alla Seconda guerra mondiale definita per l’Europa «una morte biologica, sociale ed economica molto estesa, dalla quale non ci siamo più ripresi». Tre le cause che lo scrittore e filosofo ravvisa alle origini dell’odio che portò all’Olocausto: l’invenzione del monoteismo, “Un Dio irrangiungibile e innominabile «Un Dio impossibile da tollerare, che strappa l'uomo alla libertà creativa del politeismo». Seconda causa scatenante, derivante forse da un’inguaribile complesso di colpa, proprio del Cristianesimo, si riassume nel dogma: «perdona il nemico, porgi l'altra guancia». Definita da Steiner «Una negazione dell'io non affrontabile, un imperativo destabilizzante per la più autentica natura umana». La terza e ultima causa risiede esattamente nell’opposta utopia «messianica del marxismo e del sogno socialista che pretende d'imporre all'uomo la rinuncia al profitto e all'egoismo: irrealizzabile. In astratto possiamo essere d'accordo con Mosè, Cristo e Marx, ma non potremo mai vivere seguendo i loro ideali».
Un’analisi laica, prorompente, che inchioda oltre un secolo di strutture culturali, attraversando tutte le porte del Castello di Barbablù, anche quelle proibite.

Manuela Caserta

Pubblicato su Il futurista online il 28 luglio 2011

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