Pensiero del giorno

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giovedì 22 settembre 2011

Fulvio Abbate: «Rimane il fatto che Pasolini possiamo mettercelo in camera come poster, mentre il poster di Sciascia in camera io non me lo metterei»

Una lunga intervista all’autore di Pier Paolo Pasolini raccontato ai ragazzi, edito da Dalai editore. Un’intervista che va oltre il libro scritto da Fulvio Abbate, dove sono raccolti frammenti di storia di un tempo e di un’Italia di cui rimane solo un eco lontano. Un libro dove vi sono anche testimonianze del pensiero di Pasolini uomo e scrittore, raccontate attraverso il vissuto di chi ha avuto la fortuna e l’opportunità di conoscere e frequentare il poeta confidenzialmente, come l’amica e giornalista Adele Cambria.

Pasolini rimane uno degli scrittori più citati, un modello di riferimento, un baluardo di verità ancora unico, e la forza del pensiero pasoliniano va ravvisata non solo nel vuoto dei tempi che viviamo, ma anche nel suo coraggio, quello di andare sempre e comunque contro il conformismo che spegne lo spirito critico.

Da C’era una volta P.P.Pasolini a P.P.Pasolini raccontato ai ragazzi cos’è cambiato?

R.: Intanto sono passati sei anni, ed è sempre più aumentato l’appiattimento del tema Pasolini, riferito unicamente alla questione criminale, al delitto. E chi dovrebbe diciamo rivendicare l’antagonismo pasoliniano, la sinistra, penso a Veltroni che addirittura ha proposto la riapertura del processo, invece si è sempre più appiattita su un conformismo di grado zero. Ecco questo è accaduto.

A proposito dei problemi della sinistra, nel suo libro mette Veltroni al centro di tutti questi problemi, perché?

R.: Sì lo metto al centro dei problemi, per due motivi, intanto perché Veltroni è uno degli interlocutori privilegiati fra i giovani ragazzi scelti da Pasolini negli anni 70, poco prima della sua morte. C’è una foto scattata in pieno centro a Roma, dove Pasolini guarda Veltroni, dietro i suoi occhiali RayBan con il parasudore, e sembra dire: «ma questo che pesce è?». Il secondo motivo è che c’è una centralità romana, una centralità di un certo establishment culturale conformista di sinistra romano, e nessuno come Veltroni, dopo il Pci di Togliatti, si è posto un problema di egemonia culturale a sinistra. Con la differenza che questa, per Togliatti coincideva diciamo con la conquista delle università, con Veltroni coincide con la conquista del consiglio di amministrazione della Rai. O se non la conquista, almeno attraverso un controllo parziale di esso, non a caso l’ultimo suo atto politico prima di lasciare la segreteria del PD, è stato piazzare un suo uomo di fiducia, tale Van Straten, sedicente scrittore nel cda della Rai.

“Sedicente”?

R.: Sì sedicente, perché uno scrittore vero non va a fare il burocrate pagato in viale Mazzini. Piuttosto, come diceva Pasolini, accetta di essere la contestazione vivente, e non vive nell’orgoglio di avere l’auto blu con l’autista.

La prefazione di Niki Vendola e l’atto d’accusa lanciato a Veltroni sembrerebbero fare il paio con una presa di posizione politica però, invece?

No può sembrare sia così, invece no. Innanzitutto la presenza della prefazione di Niki Vendola dipende da due cose: Vendola è stato uno dei primi recensori su Rinascita, del mio primo romanzo, Zero maggio a Palermo, pubblicato nel ’90, gli anni in cui faceva il giornalista. Poi Vendola è l’unico politico, che si sia mai laureato, che noi si sappia, con una tesi su Pasolini poeta, questa è l’unica ragione. Quindi non c’è nessuna adesione da parte mia di posizione politica rispetto a che ne so, a Sinistra Ecologia e Libertà.

Il solito vizio della sinistra è quello di cercare sempre un capro espiatorio a tutti i propri mali, ma per il resto, da dove si ricomincia?

R.: la sinistra oggi non esiste più, esiste solo la flora batterica bruciata della sinistra. E Veltroni non è solo in quest’opera di smantellamento, D’Alema accanto a lui, con la differenza che a D’Alema interessa la finanza e ha un rapporto meno invasivo rispetto alla gestione della cultura. È tutta lì la differenza, è inutile che noi si parli ancora di sinistra, perché la sinistra non c’è più in questo Paese.

E quindi Di Pietro cos’è?

R.: No, Di Pietro è un altro soggetto, Di Pietro è un ircocervo che mette insieme elementi di giustizialismo, e qui dovremmo spiegare cosa significa esattamente giustizialismo, che è un termine che viene dall’Argentina con Peron. Poi, elementi di populismo giustizialista da una parte, e dall’altra pezzi di una sinistra delusa oppure alla deriva, che hanno visto per un attimo in Tonino una specie di sopravvissuto, com’era già accaduto vent’anni fa con la Rete di Leoluca Orlando. Però non è che la falce e martello e i suoi derivati successivi, possano mai più pensare di avere un loro controllo sull’elettorato, è finito quel tempo. Io non mi considero più di sinistra, mi rifiuto di definirmi di sinistra perché in nome della comune appartenenza si tende a chiederti una delega in bianco. E io da una parte mi rifiuto di consegnare la mia delega e dall’altra credo che, da scrittore e artista quale sono, di avere appunto come diceva Pasolini, il dovere di essere sempre e comunque opposizione.

Secondo lei il popolo di sinistra è sempre appeso alla speranza che arrivi un leader?

R.: Bè pochi giorni fa è bastato che si pensasse che Manuela Arcuri non aveva ceduto alle lusinghe del premier perché diventasse un’eroina della sinistra. Dopo sono uscite le intercettazioni dove si è capito che invece, in cambio di un ruolo per il fratello in una fiction, avrebbe potuto cedervi e si è passati alla delusione. Se adesso arrivasse un canguro sarebbe lo stesso…

Quindi si continua a vivere di sepolcri, di miti insuperabili ?

R.: la sinistra italiana non conosce la laicità, viene in larga parte dal partito comunista che aveva un atteggiamento fideistico nei confronti dei suoi leader e dei suoi dirigenti come Togliatti e Berlinguer. Ancora adesso viene pronunciato il nome di Berlinguer, intanto è morto questo Berlinguer, e poi è stato un signore che ha collezionato ogni sorta di sconfitta politica nella sua vita, era onesto sì, ma la virtù, dicevano gli antichi, è premio a se stessa.

Lei ha scritto Zero maggio a Palermo, e proprio recentemente dalle pagine di Repubblica –Palermo lo scrittore Alajmo, ha sentenziosamente sostenuto che nessuno fra tutti i famosi romanzieri siciliani fin’ora esistiti, sia mai stato in grado di scrivere il cosiddetto “romanzo di Palermo” per definizione. Cosa ne pensa?

R.: Il mio libro era un libro che da una parte aveva proprio la pretesa di essere il “romanzo di Palermo” ma dall’altra raccontava in fondo il mondo della passione politica, raccontando l’affabulazione diciamo di quel mondo, del mondo del comunismo. Quindi un libro bifronte, che non può avere la pretesa di essere il romanzo di Palermo. Ad oggi non credo ci sia, ma prima o poi arriverà, prima o poi qualcuno lo scriverà, ma non c’è un modo di scrivervi sopra. Palermo è un genere così come la Banda della Magliana è diventato un genere, i film denuncia sulla mafia degli anni 70-80 mostravano in modo chiaro netto quella realtà, quelli che vengono fatti adesso sono puro genere dove Palermo è solo un fondale di carta, questa è la mia sensazione.

Perché ha sentito l’esigenza di raccontare Pasolini ai ragazzi?

R.: Per il coraggio. Pasolini per alcuni era un frocio che è stato ammazzato, e quindi il mistero è da “Chi l’ha visto”. Per altri ancora era un regista che ha fatto Salò, per altri ancora era l’autore degli Scritti Corsari, e di «io so il nome dei responsabili». Mentre la cosa più significativa di lui è stato il coraggio. È stato a mio parere anche un grande narratore, Una vita violenta è un romanzo bellissimo a leggerlo ancora adesso, ha scritto dei versi straordinari che potrebbero essere venduti anche in forma di cartolina, per raccontare il passaggio dall’Italia post-bellica contadina all’Italia contemporanea.

Ha detto quello che stava per accadere alla società italiana, cosa pretendiamo più di questo? Ditemi una sola parola che ha detto Leonardo Sciascia di cui abbiamo memoria, «professionisti dell’antimafia» questo ci ricordiamo di lui. Rimane il fatto che Pasolini possiamo mettercelo in camera come poster, mentre il poster di Sciascia in camera io non me lo metterei.

Manuela Caserta

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