Pensiero del giorno

•‎In un momento della vita, al momento giusto, bisogna poter credere all'impossibile Christa T. - di Christa Wolf

martedì 18 ottobre 2011

Mara Sartore: «si può campare di cultura poi magari non basta fare un festival solo»

Giovanissima decide di lasciare l’estero per ritornare in Italia, e in direzione ostinata e contraria fonda insieme ad altri “artecolici” come lei, un festival di corti, Circuito Off, che si svolge contemporaneamente alla celebre Mostra del cinema di Venezia, nella città del Doge appunto. È passato oltre un decennio dalla prima edizione, segno di una ostinata resistenza culturale, ma anche forse, segno che se provi a piantare una buona idea, qualche volta può anche crescere. E forse è vero, questo “Non è un paese per vecchi”.

Creare un modello culturale come Circuito Off facendolo crescere, resistendo nel tempo, in Italia, di questi tempi, è una prova da sopravvissuti. Cosa consiglierebbe a dei giovani con i suoi stessi interessi?

R.: É una domanda difficile devo dire, perché non so se esista una ricetta non so se esista un consiglio valido efficace, certamente scegliere di restare in Italia e fare le cose è secondo me prendere una posizione. Diciamo che nel mio caso specifico, io sono addirittura tornata in Italia perché vivevo all’estero dove ho studiato e ho lavorato per un lungo periodo. Io credo che bisogna essere capaci di avere un pensiero positivo e di credere molto fermamente in quello che si fa pensando di superare tutti gli ostacoli. Sicuramente questo è un atteggiamento che non viene molto stimolato, nel senso che in Italia c’è una tendenza a compiangersi e sottolineare soprattutto i difetti del Paese. Un atteggiamento che sicuramente viene marcato dai media soprattutto quelli culturalmente schierati a sinistra, anche per insoddisfazione verso questo governo, ma che purtroppo non va a stimolare una fiducia e senza fiducia è difficile fare qualunque cosa. Quello che io penso è che le situazioni difficili dovrebbero essere di stimolo senza farsi prendere dallo sconforto ancora prima d’iniziare.



L’Italia è un fiorire di rassegne e festival, dalla letteratura al cinema al jazz, ma nonostante questo non si respira un gran fermento culturale in questo paese. Da cosa dipende?

R.: Io devo dire che ho molta fiducia nei giovani italiani, credo che il fatto che continuino a proliferare dei festival nonostante la crisi nonostante i tagli, sia una testimonianza ottima del fatto che la gente non guarda più la Tv ma si riunisce in associazioni, parla delle cose e ha voglia di esprimersi. Magari non sceglie il solito canale politico ma sceglie anche quello culturale per cambiare le cose. Quindi credo molto in una cultura underground sotterranea sommersa, molto attiva, e credo che in questo momento quello che c’è di stallo vero è il vertice, cioè chi sta al governo chi sta al potere è in stallo non ha capacità di legiferare in maniera creativa o costruttiva, non ha capacità di rinnovarsi o di svecchiarsi. Io credo che alla base in Italia ci sia una voglia di fare, un proliferare di cose molto molto interessanti. Certo c’è anche un forte incrementarsi di giovani che continuano ad emigrare ad andare via, a vivere in altri paesi, però c’è anche una parte di quelli che rimangono che comunque continuano a fare delle cose. Quindi credo che sia una questione di tempo.


Cosa l’ha spinta a tornare in Italia?

R.: Quello che mi ha spinto fortemente a tornare è proprio quello di dire: in Italia comunque mancano delle cose, bisogna farle. Credo che questo sommerso sia solo una questione di tempo ma emergerà, non credo che gli italiani siano un popolo di rivoluzionari però, penso che nella storia quando c’è stato il momento si sono sempre fatti sentire, quindi mi auguro che sia ancora così, che la nostra voce non si spenga e la nostra energia neppure insomma.


Al festival di Venezia per i registi italiani da tempo oramai, è difficile essere profeti in patria. Negli ultimi anni la colpa veniva data al cinema italiano, è ancora così?

R.: Ma sa le vittorie poi contano secondo me il giusto, cioè io non guardo mai chi vince i festival, guardo chi c’è in programma, e negli ultimi anni con Controcampo italiano i film italiani ci sono e sono parecchi. Le giurie poi hanno un giudizio insindacabile e sono molto soggettivi rispetto a chi le va a comporre. Non credo che Venezia sia più un festival suo malgrado legato alle dinamiche della distribuzione, e dico purtroppo, perché il mercato è molto importante per la cultura, per il cinema, per tutto, perché appunto non si vive d’aria, e non esistono soltanto dei circuiti di mecenatismo. Bisogna anche che il pubblico apprezzi veda ecc. ma purtroppo Venezia non è più legata a dinamiche di mercato.

Il cortometraggio è se vogliamo una forma di espressione cinematografica democratica, spesso low cost, di sperimentazione artistica, e di iniziazione. Quanto spazio dà il mercato a questo genere di prodotto e quali le differenze con il lungometraggio?

R.: Prima di tutto per me parlare di cortometraggio è qualcosa di assolutamente anacronistico, nel senso che comunque il cortometraggio è un genere superato, e dirlo io che faccio un festival di cortometraggio da oltre 10 anni sembrerebbe un paradosso. Innanzitutto non ha nessuna senso paragonarlo al lungometraggio, il mondo del cinema vive su delle dinamiche e delle regole completamente separate. Il mondo dei video è un mondo vastissimo, ed è un mondo che ha un mercato suo totalmente diverso e slegato al mondo del cinema, non ha nessuna dinamica di sala, non ha gli stessi luoghi e non vive delle stesse regole. Il mondo del video è vastissimo, dai videoclip ai viral, i registi con i quali abbiamo inaugurato quest’anno Circuito Off che sono il turco Can Evgin e il francese Simon Cahn sono l’esempio perfetto di due giovanissimi registi, che vivono del loro lavoro e lavorano appunto non necessariamente facendo pubblicità. Il video che abbiamo mostrato commissionati da D&G, piuttosto che da Louis Vuitton sono dei video che sono delle opere d’arte. Sono dei video che sono stati commissionati da grandi firme per trasmettere in qualche modo la loro immagine, ma affidati a degli artisti e così i videoclip.

Youtube e i social network sono diventati il luogo ideale di diffusione dei corti, anzi, potremmo dire che grazie a FB molti hanno scoperto la letteratura e anche il cinema. Ma cosa occorre fare per non rimanere ghettizzati nel circuito dei festival e delle rassegne?

R.: Sicuramente, forse più che Yuotube che è molto generalista, un sito di riferimento per questa community è Vimeo, dove si possono scoprire dei talenti molto interessanti. Trovo che internet sia ancora uno dei pochi mezzi, nonostante cerchino di minarlo, veramente democratici. Io credo che questi prodotti non passano per le sale perché non nascono per le sale, ho assistito a duecento milioni di convegni su questa questione del futuro del cortometraggio, e sul mercato che non c’è, ma perché non c’è ed è inutile cercare qualcosa che non esiste. Cioè, il corto è un genere di tutto rispetto, però è molto evidente quando un regista fa un cortometraggio perché poi aspira a diventare un regista di lunghi metraggi, e quando un regista fa dei corti perché il la sua forma d’espressione da creativo è quella dei video, sono due cose diverse. E il mondo di cui noi cercheremo sempre di più di occuparci è quello del video, che un mondo come dicevo prima assolutamente slegato dal cinema, e che non ha neanche l’ambizione di arrivare al mondo cinematografico. Il video nasce proprio su altri canali e nasce prevalentemente per questi canali. Sono molto importanti gli eventi legati al video perché in questi eventi non solo circolano le opere ma la maggior parte dei video nascono e quando arrivano a un festival non ci vanno per iniziare la loro vita, molto spesso i video quando arrivano ai festival l’hanno già finita la loro vita è un punto di arrivo non d’inizio e questa è la cosa fondamentalmente diversa con il cinema.

Che rapporto c’è tra la grande kermesse della Mostra del cinema di Venezia e Circuito Off, di complementarità, di contrapposizione o cosa?

R.: Di contrapposizione non direi assolutamente, ci sono stati in passato dei momenti di collaborazione molto interessanti con Marco Müller, che è un direttore che io stimo moltissimo, che ha fatto un lavoro ottimo in questi ultimi anni a Venezia, portando la Mostra ad essere un festival di grande qualità. Siamo un evento che accade in contemporanea alla Mostra sicuramente, c’è questa contemporaneità, Circuito Off è nato per dei motivi ed evolvendo ne ha avuti degli altri, oggi continua per abitudine forse. Mentre quando Circuito Off è nato, è nato proprio come un evento in contemporanea alla Mostra del cinema, per essere vetrina dei giovani talenti, questa scissione, che oggi è sempre più forte a mio avviso, tra il nostro occuparci di video e in nessun modo di cinema, ci fa essere qualcos’altro insomma, quindi questa contemporaneità non è detto che continui. È nato con delle ragioni che sono cambiate nel tempo e che oggi forse non sono più così vere non lo so. Sicuramente non c’è contrapposizione con la Mostra, la complementarità bisognerebbe trovarla assieme forse.

I prossimi passi in avanti di Circuito Off? Progetti, evoluzione e obiettivi.

R.: Sicuramente quella che è l’identità che sempre più si sta marcando è quella di volersi occupare sempre più di video e non di cinema, il video non è cinema, forse il cinema diventerà sempre più video ma questo se lo devono chiedere quelli che fanno cinema non lo so. E quindi sì, forse c’è una riflessione anche sul nostro titolo che è Venice International Short Film Festival che forse andremo a cambiare. Stiamo sicuramente meditando su quella che è la definizione di cortometraggio e sul fatto che sia sempre più inadeguato a quello di cui ci occupiamo noi. Quindi c’è un problema lessicale, nel senso che l’unica parola che io posso usare per descrivere quello che noi facciamo è video.

Dopo 12 anni, siete diventati una vera avanguardia anche di tendenza. Rischiate di scivolare un po’ troppo nel patinato, perdendo forse un po’ di quella connotazione “Off” che vi ha caratterizzati…

R.: Il fatto che la stampa si accorga di noi, il fatto di essere arrivati comunque ai magazine femminili e maschili, forse era anche ora che si accorgessero che facciamo delle cose. Patinati non credo perché è un evento assolutamente informale rispetto anche al clima che si respira alla mostra del cinema, che ha un clima da red carpet. Non direi che questa sia l’atmosfera che si respira a Circuito Off in nessun momento, neanche diciamo nei momenti da cerimonia, l’apertura o chiusura molto spesso è informale. È un festival che nasce perché le persone si incontrino fra di loro, passino delle giornate a vedere dei video a studiare delle idee a conoscersi con molti ospiti internazionali che s’incontrano o si ritrovano.

A conti fatti l’avventura di pochi giovani ragazzi, parafrasando Battisti è diventata una storia sera. Di cultura quindi si può campare?

R.: Noi non viviamo solo di Circuito Off per nostra fortuna, perché siamo un gruppo di gente che poi comincia ad essere non così tanto giovane insomma, quando si è tanto giovani si hanno delle esigenze, poi quando si cresce se ne hanno delle altre. Però si possono fare tanti progetti, noi campiamo di cultura ma facciamo più cose. Diciamo che la risposta è sì, si può campare di cultura poi magari non basta fare un festival solo.

Manuela Caserta

Nessun commento:

Posta un commento

E tu come la pensi?