Pensiero del giorno

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giovedì 12 aprile 2012

Piazza Fontana:Una finestra sulla strage diventata un romanzo

Una lunga notte insonne, comincia così la descrizione di quella notte in Una finestra sulla strage, il libro scritto da Camilla Cederna sulla strage di Piazza Fontana. Una lunga notte insonne quella che segue i funerali delle vittime della Banca dell’Agricoltura di Piazza Fontana, interrotta da una telefonata fatta da due colleghi giornalisti:Gianpaolo Pansa e Corrado Stajano che passano a prenderla nel cuore della notte, dopo aver appreso quello che era avvenuto in questura. Ad una strage si aggiunge una tragedia: «un uomo si è buttato dalla finestra della questura, non farci aspettare, andiamo a dare un’occhiata» sono le parole scioccanti di quella telefonata.

Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana è tratto dal libro di Paolo Cucchiarelli, ma io qui ho volutamente avanzato il confronto con Una finestra sulla strage di Camilla Cederna, che all'epoca dei fatti fu tra i primi giornalisti che seguirono da vicino l'intera vicenda. Nel film di Giordana, Camilla Cederna ha il volto dell’attrice Benedetta Buccellato, che insieme agli altri colleghi (e nei fatti storici) insieme a Renata Bottarelli dell’Unità e Giampiero Testa del Giorno, vengono “gentilmente” ricevuti in questura, poco dopo la tragedia, dal questore Guida, dal capo dell’ufficio politico Antonino Allegra e dal commissario Calabresi, in un’atmosfera surreale e patinata che la Cederna descrive sgomenta raccontando che sembrava «un salotto in cui mancava appena che venisse offerto un bicchiere di whisky». Questa stessa scena nel film si svolge davanti a un commissario Calabresi che tenta di mantenere il suo storico aplomb da maglioncino a collo alto e completo giacca e pantalone, che lo contraddistinguevano dalle solite cravatte strozzate dei colleghi. Nel suo ufficio qualche ora prima, un uomo era misteriosamente volato giù dalla finestra, Calabresi, in quel tragico frangente non c’era, questa è la versione che sposa anche il regista Marco Tullio Giordana. I giornalisti chiedono “perché non avete informato immediatamente i familiari?” e il Calabresi di Giordana risponde istituzionalmente con un tono pacato appena in imbarazzo, come fosse Homer Simpson che dice: “Siamo stati impegnati”. La risposta che nei fatti realmente accaduti, Calabresi dette alla vedova Licia Pinelli che chiamò in questura per chiedere perché non l’avesse avvisata, fu: «Ma sa, signora…abbiamo molto da fare» da brividi. Il film ha una prima parte senza strumenti narrativi, una serie di singoli episodi fotografano in maniera didascalica gli avvenimenti storici dai quali si fa iniziare quella che fu definita la strategia della tensione.

L’anarchico Pinelli dopo la strage di piazza Fontana, fu trattenuto dall’algido commissario Calabresi per tre giorni in questura. Trattenuto in “stato di fermo di polizia prorogato dall’autorità” questa la risposta del questore Guida che la Cederna annota sul suo taccuino. La linea dura che le istituzioni decisero di adottare nell’immediatezza dei fatti di quel 12 dicembre 1969 fu quella di cercare i colpevoli ad ogni costo, anche a costo d’inventarseli. Scatta la rappresaglia, cresce il panico, la situazione è incontrollabile, le autorità sono disorientate dalla crescente e imprevedibile violenza degli attacchi terroristici e cominciano a mostrare i muscoli. Pinelli era un esponente anarchico del circolo della Ghisolfa, che Calabresi tampinava alla ricerca di una pista sulle frange più violente. GianGiacomo Feltrinelli era uno dei suoi chiodi fissi, e nel film appare in una scena dove fa la parte del guerrafondaio in un’assemblea all’università, Feltrinelli è una citazione che fa eco, ma nella narrazione del film non trova connotazione. Quando i giornalisti arrivano in ospedale, il medico di turno Nazzareno Fiorenzano dà notizia alla Cederna dello stato di salute dell’uomo che è stato accompagnato al pronto soccorso da un’imponente scorta della questura. “Niente più attività cardiaca apprezzabile, polso assente, lesioni addominali paurose, una serie di tagli alla testa. Abbiamo tentato di tutto ma non c’è niente da fare, durerà poco”. Un attimo dopo chiede alla giornalista chi fosse quest’uomo, dato che la polizia non aveva dato alcuna risposta alla sua domanda, e la Cederna rispose «È un anarchico si chiama Giuseppe Pinelli».

Romanzo di una strage prende piega dopo le immagini su Piazza Fontana, ma non riesce ad amplificare la forza implicita dei fatti storici, sembra l’autopsia di una tragedia, e i dialoghi a tratti hanno anche una notevole capacità sedativa inaspettata. Perché dipingere Moro sempre con quell’aurea da santone inconsapevole?! Gifuni ha l’aria dimessa dello statista rassegnato, un fiume di retorica, in mezzo ad altre figure istituzionali senza scrupoli, ciniche e cupe come quella di Saragat. Il Calabresi di Valerio Mastandrea, che si racconta esser stato un funzionario di polizia sopra le righe, un “intellettuale” ha il profilo basso della vittima preannunciata. Ma la gentilezza che lo faceva spiccare su gli altri, contraddiceva con il Calabresi che aveva preso parte anche a qualche significativa repressione contro dei manifestanti, che gli era valsa una denuncia per attentato ai diritti politici dei cittadini. Giordana racconta il lato “intellettuale” del giovane commissario, mettendo in scena i due protagonisti all’interno di una libreria, dove la conversazione fra i due nemici leali scivola negli stereotipi ideologici. Pinelli spiegando a Calabresi la matrice non violenta dell’anarchia, gli suggerisce un libro: l’Antologia di Spoon River, e Calabresi risponde prendendo in mano un libro sulla guerra fredda. Ma se davvero lo scontro sociale dell’epoca fosse stato solo culturale o essenzialmente tale, il sistema non avrebbe avuto bisogno di tutelare se stesso ad ogni costo. E Calabresi non avrebbe avuto bisogno di omettere una verità così come il film di Giordana ci riporta. L’Antologia di Spoon River secondo una lettera che circolava al tempo, Pinelli pare l’avesse spedito al compagno Paolo Faccioli detenuto in carcere per gli attentati del 25 aprile, proprio in quel funesto 12 dicembre. Quel livido sulla nuca di Pinelli , diventa uno dei punti controversi del dibattimento processuale, si ipotizza sia stato inferto con un colpo di karatè, ma la cosa venne liquidata in modo ben diverso. Suicidio o defenestrazione divenne questo il dilemma processuale nel quale si negò la costituzione di parte civile ai familiari. Il film si chiude sui titoli di coda che portano in rassegna l’excursus giuridico di condanne e assoluzioni in appello. Di quella che fu una strage di destra, si assume che fu quasi bipartisan, due bombe depositate col medesimo intento, una di destra e una di sinistra, la par condicio è una condizione ineluttabile per l’autoassoluzione storica di Stato. E si aggiunge una terza via, quella dei servizi segreti deviati che invisibilmente manovravano l’intero sistema di potere con un solo scopo. Ma davvero questa fu una strage fatta da “menti di destra e manovalanza di sinistra”? davvero la verità storica coincide con quella giudiziaria? Per la prima volta Marco Tullio Giordana mi lascia perplessa, e con la sensazione che non abbia voluto osare veramente, volendo più che avanzare dubbi puntellare una delle tante verità storiche.

E se vi dovesse sorgere ancora la domanda:chi è stato?La risposta paradossale all'esito giudiziario è:nessuno, è Stato.

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