Pensiero del giorno

•‎In un momento della vita, al momento giusto, bisogna poter credere all'impossibile Christa T. - di Christa Wolf

giovedì 1 dicembre 2011

Lucio Magri: Se solo si potesse morire come ci pare...

Non si può scrivere di Lucio Magri, solo cominciando della fine, da quel gesto squarciante e autoreferenziale che è l’eutanasia volontaria. Non è stata fuga, ma semplicemente abbandono, e ciascuno sarà pur libero di scegliere come uscire di scena senza per forza farsi paladino di un diritto sociale per tutti, senza per forza coinvolgere l’ordine morale, fare appello ai laici, farsi accendere un riflettore addosso mentre rifuggi da qualsiasi luce. Senza per forza esser giudicato nelle proprie possibilità, che siano anche solo quelle di potersi permettere un biglietto di sola andata in un Paese neutro, senza Vaticano, moralisti, finti rivoluzionari e liberisti. Neutro come la nebbia, che avvolge tutto anche una vita intera.

Sì, è un diritto poter scegliere come morire, ma non è un diritto sindacare la morte ogni volta, come se la vita degli altri ci appartenesse per status quo. Non ci apparteneva giudicare della Englaro, non ci apparteneva giudicare di Welby e non ci apparteneva giudicare di Monicelli. Che ne sappiamo noi del dolore che squarcia una persona, della sua solitudine, e la nostra attenzione sull’ultimo atto compiuto, su quella improvvisa assenza, certo non è struggimento no. Non illudetevi. E’ spesso solamente vorace voyeurismo, sensazionalismo evocato da qualche titolo di giornale. E a volte, solo a volte, è anche riflessione su quell’esistenza. Magri è scomparso da due giorni, e sappiamo di lui ciò che fu, quali atti di rottura verso un sistema che non condivideva fece quando si conquistò la definizione di eretico comunista. Ed “eretico” è stato anche il suo ultimo gesto, eretico visto con gli occhi di una società che non è riuscito a cambiare, ma per la quale la sua pervicace volontà intellettuale ha lavorato a mani nude. Discutiamo se vi pare, di come si debba vivere e lottare verso lo Stato, la nostra ideologia, i poteri forti e anche la malattia, ma quando questa cresce lentamente su un’assenza..c’è poco per cui lottare, non esistono nemici o rivali, c’è il vuoto soltanto. Lucio Magri aveva perso il suo alterego e la sua ragione di vita, che non era la libertà di cui si è vestito fino alla fine, non era una battaglia sociale, era semplicemente la sua compagna di vita, che senza invocare alcun romanticismo di sorta né il suo contrario per bandire sia ogni forma di stucchevole commozione, che di cinica derisione, era ciò che evidentemente gli aveva dato un senso.

Fondatore del Manifesto, scrittore, giornalista spina nel fianco di quel PCI degli anni 60/70, che di comunista aveva il nome e poi le velleità. Dentro il quale brulicavano intellettuali, militanti, sanguisughe, giovani citazionisti, futuri strateghi dei fallimenti della sinistra, e dirigenti che conoscevano bene la liturgia dell’obbedienza e della reminiscenza, oltre che la cosiddetta terza via. Spesso ancora oggi si vuol far passare per ragion di Stato ciò che è solo sapone caustico della propria coscienza. Così lo fu allora, quando la Cecoslovacchia venne invasa, violentando la natura del vero sogno socialista. E lì chi ci credeva divenne eretico, per colpa di un diktat, “eretico”, una parola che a pensarci bene nella storia ha sempre avuto il sapore vero della libertà. È quasi d’obbligo per molti giornalisti, colleghi e amici di Magri scrivere di lui, di questo estremo gesto. Come lo fu per Monicelli, che tutti ricordano fino alla fine presente ad ogni manifestazione contro le assurde politiche di tagli alla cultura. È d’obbligo dare onore alla memoria di uno che ci credeva, e oggi come oggi, quanti sono quelli che ci credono ancora, e in cosa soprattutto…?

Sì ma non è un obbligo tirare fuori nemmeno 24 ore dopo, tutti i temi dello scibile sociale e politico di questa società: il cattolicesimo opprimente e di facciata (nel quale però annaspiamo), il testamento biologico, il diritto dei poveri a morire come vogliono, i suicidi di massa nei penitenziari…
Magri soffriva di depressione, quel mal di vivere che un film del regista Alessandro di Robilant, tempo fa, descrisse molto bene, il film s’intitolava Per Sempre, protagonisti Giancarlo Giannini e Francesca Neri. Una storia bellissima, dove il protagonista, bello, ricco, stimato e di successo, si ammalava di mal d’amore, di un male deriso, spesso incompreso ma vero, esistente non solo in letteratura. Quello che viene definito “graffio dell’anima”, è uno strappo interiore, incurabile, che ti segna intimamente e ti consuma lentamente…

Si può spiegare una vita in mille modi, leggendoci le mille sfaccettature che l’hanno riempita, descrivendone le avventure, le parole, il coraggio, e la storia perché di storia si tratta. E Magri fu un assoluto protagonista di un pezzo importante della storia politica italiana, ma questo estremo “eretico” ultimo atto, di struggente poesia, come chi esce di scena di schiena e semplicemente se ne va, lasciamo che sia solo suo, intimo, personale, così come l’ha voluto, senza la mondanità evocata da tutti quelli che cercano uno scorcio di personale rivoluzione solo attingendo a quella degli altri.

Manuela Caserta

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