Pensiero del giorno

•‎In un momento della vita, al momento giusto, bisogna poter credere all'impossibile Christa T. - di Christa Wolf

sabato 10 settembre 2011

Non parlate al conducente. Segnali urbani di poesia...

Incontro Massimiliano Coccia, giovane scrittore e autore teatrale, in un bar del centro di Roma la sua città, e la mia per adozione. Ma lui su Roma e la periferia, ci ha fatto un corto dal titolo Roma, un giorno diretto da Matteo Botrugno, un corto di qualche anno fa che ti lascia il sapore di una Roma “pasoliniana” attraversata da una luce che illumina di bello anche la periferia più abbandonata. Così giovane e così pieno di cose già scritte e pubblicate: sei libri, tre docufilm, un corto, due piecè teatrali, già diversi premi vinti e una casa editrice appena nata. Il suo libro d’esordio è stato Gli occhi di Piero. Storia di Piero Bruno, un ragazzo degli anni 70, l’ultima sua fatica letteraria si intitola Non parlate al conducente (edito Giulio Perrone), una raccolta di poesie impregnate di quotidianità metropolitana, di attimi fuggenti immortalati come una fotografia in versi. Incontri e scontri di sguardi e riflessioni sulla decadenza di un Paese che di poesia ne avrebbe davvero tanto bisogno.

Non parlate al conducente un libro che è una raccolta di poesie. Com’è nato?
R.: Il libro è uscito ad aprile per la Giulio Perrone Editore ed è nato in maniera istintiva, perché per me la poesia è il bozzetto di qualsiasi €composizione. Prima di scrivere un racconto, una sceneggiatura, un riadattamento teatrale, comincio sempre da una poesia.

Un po’ sentimentalista?
R: No secondo me ognuno di noi ha una forma letteraria nella quale si sente inevitabilmente libero, la mia è quella. Con il fatto che è il genere meno letto, il meno commerciale che c’è, non hai delle necessita di sorta, nel senso, non hai degli obblighi. Mentre il racconto poi lo devi sottoporre a delle rivisitazioni a delle riletture, quindi poi diventa un lavoro collettivo perché ci lavori con l’editor, con la casa editrice, un romanzo è comunque un’operazione collettiva.

La licenza poetica ti elimina l’incubo dell’editor quindi?
R: Bé più che altro perché è un genere comunque lasciato a se stesso, questo purtroppo lo dequalifica perché in realtà la poesia nella storia della letteratura italiana è alla base di quello che siamo linguisticamente, di quello che comunque abbiamo composto.

Ma quanto spazio c’è per la poesia nella nostra società e nell’attuale panorama editoriale e culturale?
R.: Poco spazio, gli editori che investono e non si fanno pagare per pubblicare la poesia sono pochi. Se pensi che al di là delle piccole case editrici, c’è Perrone, i Libri Bianchi di Einaudi, mentre Feltrinelli fa quasi solo le antologiche. Sono sempre l’1% di tutta la produzione, se noi parliamo in termini di stampa delle copie è ancora di meno, cioè si presume che sia veramente un prodotto intimo. Ma questa cosa purtroppo dipende principalmente dal fatto che l’editoria a pagamento uccide tutto questo. Poi se pensi che Bondi fa poesie…
Alla fine mancando la critica letteraria intesa come un tempo era, manca spesso la selezione della qualità. Prediligere la quantità in poesia significa proprio andare contro la poesia stessa.

Gli occhi di Piero. Storia di Piero Bruno, un ragazzo degli anni 70 ha segnato il tuo esordio letterario. Ma cosa è cambiato da allora a oggi nella tua vita da scrittore, quanto è difficile vivere di scrittura?
R: É comunque sempre una lotta, che alla fine della giornata ti fa più felice, ma comunque una lotta molto dura perché quando ho cominciato a scrivere libri anche il panorama era ancora un po’ differente, c’era già cinque o sei anni fa, l’idea che di questo mestiere puramente ci si potesse vivere. Col tempo invece capisci che non è così. La grande lotta è comunque trovare delle cose che non ti allontanano da quello che per me è la mia vocazione, il mio motivo di vita fondamentalmente. Dal 2008 ad oggi è cambiato anche il mondo del giornalismo, è tutto diventato più precario, meno strutturato e qualitativo, tutto è lasciato all’improvvisazione. Una cosa che ci vogliono far credere è che per fare questo tipo di lavoro non occorra soffrire, non occorra patire, molti ti danno sempre l’idea che un autore si sia svegliato la mattina e sia stato pubblicato. Molte cose creano l’illusione di un successo letterario effimero, e invece no, dietro ci sta spesso tanta tanta gavetta.

Cosa ne pensi dei premi letterari come lo Strega ad esempio.
R: Io penso che ogni libro è rispettabile perché rappresenta qualcosa di grande che l’autore esprime, sia se la critica lo ritiene mediocre o no, però penso che sono anni, credo forse da quando ha vinto Ammaniti, che manca il libro del premio Strega, cioè il libro che è destinato a rimanere. Il premio Strega comunque, come tanti altri premi letterari è un po’ la cartina tornasole di questo Paese, spesso la cooptazione che tu hai in Parlamento ce l’hai sui premi letterari.

Cosa ne pensi dei corsi di scrittura creativa?
R: I corsi di scrittura creativa intanto sono utili per una cosa, perché insegnano alle persone a scrivere, io ho visto persone che miglioravano la propria grammatica italiana, e se questo migliora il livello culturale del Paese bene venga. Poi è chiaro, non può essere il metodo per diventare scrittori.

Nei tuoi progetti c’è anche fare l’editore, hai appena creato la casa editrice Ensemble
R: Io e Matteo Chiavarone, che è un autore, un poeta e un giornalista culturale, ci siamo detti che magari era bello creare qualcosa in cui ci fosse attenzione a tanti aspetti legati all’editoria. Aspetti legati alla distribuzione, al fatto che un autore non venisse lasciato solo, al fatto che saltasse il vincolo odioso dell’editoria a pagamento, che ci fosse un criterio meritocratico nella scelta. Riflettendo su tutti questi aspetti ci siamo detti proviamo a farlo noi.

Cosa manca culturalmente in una città come Roma secondo te?
R: Roma, come diceva Andy Warhol, “è l’esempio di cosa succede quando i monumenti durano troppo”. E Roma è questo, di fatto è una metropoli che non è cresciuta in questi anni. L’idea di città costruita dal modello Alemanno è stata quella di chiuderla nella ZTL, riempirla di militari dell’esercito, blindarla e seminare l’idea della paura. Tutte cose che non comunicano alla cittadinanza un alfabeto di convivenza, se non la fai sentire parte integrante della metropoli in cui vive, del suo quartiere del luogo in cui risiede, è normale che il cittadino non ha più amore per la sua città.

Manuela Caserta

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