Pensiero del giorno

•‎In un momento della vita, al momento giusto, bisogna poter credere all'impossibile Christa T. - di Christa Wolf

mercoledì 7 settembre 2011

Questione di esercizio...

Una pagina bianca e un prurito sulla punta delle dita che mi incita a lasciar scorrere le mani sui tasti di questo pianoforte.
“Scrivi scrivi!” suggerisce una vocina da dentro. Non puoi fermarti, le idee e la creatività albergano lì dove trovano la foce alla quale approdare. Può darsi, mi ripeto fra me e me. C’è un film che mi ritorna sempre in mente in questi casi, si intitola “Questioni di cuore” di Francesca Archibugi.
I protagonisti sono Kim Rossi Stuart, bello come sempre, proletario, pragmatico e vera anima letteraria dell’intero film, e Antonio Albanese sceneggiatore con il blocco dello scrittore. I due si incontrano nella sala rianimazione di un ospedale, e lì diventeranno amici, due mondi diversi che si aggrappano l’uno all’altro. Alberto (Antonio Albanaese), non riesce più a scrivere, schiacciato da una crisi di creatività, in preda all’ansia da prestazione, all’affitto da pagare, sfugge alle incalzanti telefonate del produttore, e fugge in modo orgogliosamente distruttivo dall’abbraccio della sua compagna (Francesca Inaudi), bravissima, che nel film fa l’attrice.

È insostenibile per lui quell’atavica responsabilità di non sapersi mai abbandonare ai propri “fallimenti”, di fronte ad una donna poi no, mai. Così si fa lasciare da lei, la allontana e da solo comincia la traversata nel deserto delle idee.
Alberto, apre la porta di casa come se aprisse quella di un altro mondo. Un mondo non suo, che affaccia sulla periferia della vita, dove non si ha il privilegio di vivere scrivendo (ammesso che esista davvero). E non si hanno sogni da regalare alla gente, scrivendo un film. Anzi. In questo mondo, non si ha tempo di sognare. Eppure in mezzo a lamiere di auto d’epoca da restaurare, con le mani sporche di grasso e fatica Angelo, lo rimetterà al mondo. C’è un gioco divertente che nel film, Alberto, insegna al figlio di Angelo, un gioco che io faccio spesso da sola, e che scommetto piace fare a chiunque piaccia osservare.

Questo gioco consiste nell’osservare le persone che ti passano davanti e immaginarne la vita, il lavoro, i difetti i vizi e i pensieri. Da come si muovono, da come gesticolano, dal loro sguardo, dalla camminata, dall’espressione che hanno in faccia. Se vi capita mai di stare comodamente seduti al tavolino di un bar nel centro della vostra città, a scaldarvi al sole, lasciando libero di vagare il vostro sguardo, uno scorcio di vita vi si parerà davanti, e ci ritroverete dentro il frame di un film, la pagina di un libro, un pensiero da annotare, una battuta, un sorriso un nome. Dalla periferia di una città, Alberto attraversa il suo deserto, ritrovandovi quelle cose della vita che aveva perso per strada. Ricominciando da un’amicizia vera, che gli lascia affetti da curare, vuoti da colmare e storie di cui scrivere. Un viaggio dentro se stesso, intenso e lento, che gli riapre la finestra dell’immaginazione. E quando la storia finisce drammaticamente, la scena finale si svolge di notte, la notte dello scrittore. Quelle lunghe notti insonni e calde, passate ad osservare fuori dalla finestra il Tevere, i passanti e le luci di Roma.
E dopo cosa succede? «Questa è la domanda, la risposta è la storia».

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