Pensiero del giorno

•‎In un momento della vita, al momento giusto, bisogna poter credere all'impossibile Christa T. - di Christa Wolf

venerdì 29 luglio 2011

“Fine pena mai” sull’isola di Favonio

"Fine pena mai”, è il sottotitolo di tante storie di vita, dimenticate dietro le sbarre. Vite che si consumano nel tanfo di umidità di una cella, o peggio, finiscono vittime di una sorte peggiore. Il carcere è un’istituzione totale, che t’inghiotte e molto spesso, non restituisce nemmeno l’osso di quel che sei. A dispetto di ogni principio costituzionale, lì dentro, l’umanità si perde soltanto, non si riacquista. Favonio è un vento caldo, il vento da cui prende il nome l’isola di Favignana, “la farfalla sul mare”, come amò definirla il pittore Salvatore Fiume.

Favonio, è anche l’isola dell’ultimo carcere d’Italia, un piccolo penitenziario, dove le celle si trovano a dieci metri sotto il livello del mare. E quando l’aliscafo arriva sull’isola, le onde s’infrangono sulle pareti delle celle. Il profumo salmastro del mare, laggiù, diventa quasi apnea e si confonde con l’amara nostalgia della vita fuori dal carcere. Vento di tramontana di Carmelo Sardo, è la storia di un ragazzo di vent’anni, che trascorre la leva militare, facendo l’agente penitenziario, l’unico modo per guadagnarci qualcosa. Sono gli anni 80 e l’isola di Favignana non era ancora stata scoperta dal mondo degli happy hour. Questi lunghi nove mesi di naja, dove il tempo non passa mai e le notti di guardia sembrano interminabili, trascorrono annotando su un quaderno pensieri, riflessioni e storie su quel pezzo di realtà a tratti sconvolgente e a tratti rivelatrice, ma a molti sconosciuta. Ogni boss ha una storia da raccontare, che non è sempre e solo, la storia del potere e dell’avidità, che l’ha trascinato dentro quelle quattro mura.

A volte, sono semplici storie di uomini, di sentimenti, di famiglie spezzate e coscienze pentite. Ma il pentimento per un uomo d’onore, ai tempi, era una debolezza che rimaneva muta e nascosta in fondo a se stessi. Dentro questo piccolo penitenziario, da sprovveduto e ingenuo ventenne, il protagonista diventa uomo. Impara il codice silenzioso del rispetto, la gerarchia che vige anche all’interno di quel mondo chiuso, la regola che chi sgarra paga e paga anche con la vita. Comprende che c’è una linea sottile tra riconoscenza e complicità, che il confine è labile e passarci oltre può diventare quasi una scelta di vita irreversibile. Eppure, quella complicità, nata tra un vecchio scaltro boss e un ragazzino riservato e rispettoso, diventa un’amicizia, legata da un affetto quasi paterno tra i due. Un affetto, che rimane anche quando la leva finisce e l’aliscafo porta via il protagonista dal castello e dall’isola. Oltre i ruvidi racconti, della legge non scritta che governa la vita del carcere, c’è spazio per una storia d’amore che nasce ai margini di un tempo andato. Pulita, innocente e inattesa, come una rivelazione che la mareggiata ti restituisce.

Manuela Caserta

Pubblicato sul n. 12 de Il futurista settimanale

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